domenica 24 marzo 2013

CONDANNATI A MORTE


È uscito!
Cari frequentatori del blog, volevo condividere con voi questa bella notizia: è uscito il mio primo ebook, Condannati a morte. Si tratta di un thriller sovrannaturale pubblicato da Milano Nera Web Press, e di questo ringrazio Paolo Roversi che ha creduto nel racconto.
Eccovi la sinossi...

CONDANNATI A MORTE
Massimo è un assassino, un killer sadico che passa le notti a uccidere anziani.
Andrea è un traditore, uomo senza scrupoli che progetta di assassinare la moglie per ereditarne il patrimonio.
Tonino è uno spacciatore, che sta per concludere un affare destinato a portare sull’isola un nuovo tipo di droga.
L’assassino, il traditore e lo spacciatore: tre angeli neri che diffondono il male nei vicoli bui di una Procida gotica. Tre mostri che ignorano di essere solo pedine di un gioco, pezzi di un piano orchestrato dalla mente implacabile della figura con falce e mantello, la signora che non perdona: la Morte.



Potete trovarlo qui:
- Amazon, in formato Kindle. Acquistalo a 3.07 euro.
- Bookrepublic, in formato Epub. Acquistalo a 2.99 euro. 
- Ultima Books, in formato Epub. Acquistalo a 2.99 euro.

Nel frattempo, se volete dare una sbirciatina, ecco un piccolo estratto:



Il sogno. Sempre lo stesso.
La sua terza vittima. Sempre quella, quasi ogni notte, ma Massimo deve ancora capirne il perché. L’immagine è imbevuta di una nebbia ovattata. Eppure è chiara, nitida. Soprattutto, fedele. Il vecchio è adagiato sulla poltrona, una sigaretta stretta tra le dita, e la bocca disposta a O, a lanciare in aria cerchietti di fumo.
È stato l’unico a morire da sveglio.
Si è accorto di lui troppo tardi, e infatti non ha avuto il tempo di reagire. «Pe… perché?» è riuscito a mugugnare, prima di essere trafitto.
Massimo non avrebbe mai immaginato che quella scena gli sarebbe tornata in mente come una nenia.
Quel vecchio aveva qualcosa di strano. Gli occhi, forse. Così sereni. Oppure quel modo di fumare.
«Perché?»


Massimo si accorge di stare quasi ansimando. Ormai la voglia è incontenibile, i suoi occhi si prefigurano l’apice di un piacere malato, irrinunciabile, reiterato. Ne ha già uccisi quattro, da quando vive sull’isola. E non ha alcuna intenzione di smettere.


     In questo momento lo capisce.
Non è vero quello che continua a ripetersi da tempo. La sua non è una malattia insorta solo da qualche anno.
Lui è nato così.
Ha coltivato i germi osceni del sadismo sin da quando era piccolo. Lo ricorda bene: ai funerali, di fronte alle salme fredde di parenti morti, avvertiva, sordido dentro di lui, qualcosa.
Una sorta di piacere, di soddisfazione necrofila, di desiderio illibato al quale non riusciva a trovare un’origine, una natura, uno scopo. Lì, di fronte ai corpi degli anziani morti, le sue mani non tremavano spaventate, ma si toccavano l’un l’altra, a cercarsi a vicenda, a scaldarsi.
Massimo è nato mostro. 
Adesso lo sa. 


(Diego Di Dio, Condannati a morte

lunedì 11 marzo 2013

I ROMANZI STORICI DI FRANCO FORTE

Franco Forte.
Negli ambienti editoriali c'è grande mistero attorno a questo nome. Alcuni sostengono che si tratti solo di un infaticabile lavoratore, ma pur sempre umano.
La maggioranza, però, ha opinioni più bizzarre. Per esempio, c'è chi pensa che si tratti di un essere mitologico, mezzo uomo e mezzo libro, uscito fuori da qualche innesto genetico. Chi, in chiave molto più prosaica, ritiene si tratti di un collettivo, e che sotto l'egida di Franco Forte si nasconda un gruppo di editor, scrittori, consulenti editoriali e faccendieri di ogni sorta. Chi, infine, sostiene che Franco Forte sia in realtà Francoforte, ossia l'intera popolazione della città tedesca.
Molte sono le teorie, e alcune nemmeno tanto astruse: basti leggere le qualifiche di questa persona. C'è da andare ai pazzi.
Direttore editoriale delle collane da edicola Mondadori, direttore editoriale della Delos Books, editor, consulente editoriale, direttore di riviste letterarie (come la Writers Magazine Italia, Romance Magazine, etc), traduttore, sceneggiatore e, ultimo ma non meno importante, autore di romanzi best-seller per la Mondadori.

Teorie a parte, gli scrittori esordienti come me conoscono bene Franco Forte. Tante sono le cose che ho imparato sul forum della WMI e altrettante grazie alla rivista Writers Magazine Italia. Parte del mio percorso di autore e collaboratore editoriale lo devo anche, e soprattutto, al collettivo creato da lui e dal suo staff. Numerosi sono i racconti e gli articoli che mi ha pubblicato come editore e, per adesso, è da accreditare a lui la mia più grande soddisfazione letteraria: la pubblicazione de I dodici apostoli sul Giallo Mondadori.
Ma in questo post non intendo parlare di lui come editor/editore, ma come scrittore. E, di conseguenza, godere di quel "piccolo strapotere" di cui il lettore usufruisce nei confronti di un autore.

Per adesso, ho letto tre libri del boss (noi lo chiamiamo così), e intendo recensirli secondo la mia personale classifica di gradimento.

I BASTIONI DEL CORAGGIO 
Ducato di Milano, 1548. La dominazione spagnola sta devastando la città e si respira un clima di violenza e disperazione. Ci sono molti personaggi degni d'interesse, in questo romanzo: Ludovico de Valois, feroce vicario del Capitano di Giustizia;  Mariangela Comencini, sulla quale pende un'accusa di stregoneria; l'inquisitore Guaraldo Giussani (che, in qualche tratto del suo carattere, ricorda il Waleran Bigod de I pilastri della terra); la giovane e bella Anita Polidori (che ritornerà ne Il segno dell'untore) e infine il protagonista, Fulvio Alciati, coraggioso cavaliere di ventura.
La bellezza di questo romanzo risiede nella sua struttura corale: benché Fulvio Alciati sia il personaggio principale, non c'è un vero protagonista, che monopolizzi in toto l'attenzione del lettore. Al contrario, l'autore ha costruito un ginepraio di figure dettagliate, passando dall'una all'altra in una continua altalena. Personalmente, adoro le storie strutturate in questo modo, perché costruire un intero romanzo attorno a un unico personaggio può essere molto rischioso, se questi non ha le qualità o l'originalità per reggere la storia. La ricostruzione storica è molto dettagliata, a volte anche troppo; ma questo è il cavallo di battaglia dello scrittore, comune denominatore di molti dei suoi libri. 
Tra quelli che ho letto, questo romanzo resta il mio preferito: per credibilità dei personaggi e dovizia di particolari, per un'ambientazione disegnata col compasso e un'alternarsi di vicende al cardiopalma. Leggendo, sembra di essere lì, in una città divorata dalle malattie e dall'inquisizione, dove la disperazione e il fatalismo sembrano le uniche scelte possibili, in un inferno in terra che non dà tregua. 
Primo classificato.


ROMA IN FIAMME
Dalla Milano del XVI secolo passiamo all'antica Roma. Le intenzioni dell'autore sono già palesi a partire dal sottotitolo: Nerone, principe di splendore e perdizione.

È infatti l'imperatore romano che regnò per quasi quattordici anni a costituire il centro nevralgico di questo romanzo. C'è poco da fare: quando a reggere le fila della storia è un personaggio complesso  come Nerone, un uomo divorato dalle contraddizioni e in eterna lotta contro se stesso e gli altri, è difficile non restare abbacinanti dalla sua luce.
Anche in questo romanzo ci sono molti personaggi ben tratteggiati: basti pensare alla bella e disinibita Atte, una delle amanti di Nerone; o ad Agrippina, la madre dell'imperatore, regina di furbizia e cospirazioni politiche. Molti sono i comprimari che si conquistano qualche pagina di questo libro, ma ognuno di essi, per quanto ben delineato, è coperto dall'ombra di Nerone. Ed è qui, in questa scelta, che risiede l'originalità del romanzo. Attingendo a nuove fonti storiografiche, l'autore fa rivivere l'imperatore restituendogli una nuova dignità, una nuova intelligenza. Le pagine riportano in auge un personaggio che il pensiero collettivo aveva degradato a pazzo sanguinario o a megalomane psicopatico. Niente di tutto questo. 
Immergendosi in queste parole che grondano storia, passeggiando tra intrighi di palazzo e riti sessuali senza fine, si ha quasi l'impressione che Nerone, benché egocentrico e perfezionista, sia l'unico sano di mente, in un girone di anime depravate e assetate di potere. La scelta dell'autore, inutile negarlo, è coraggiosa: rivoluzionare la figura di Nerone, distruggendo i dogmi che per anni hanno ossessionato l'opinione collettiva. Come detto per il romanzo precedente, anche qui la riscotruzione storica è dettagliatissima (a volte anche troppo) e le pagine filano via velocemente. Non ci sono le trame e le sottotrame de I bastioni del coraggio e non c'è l'intrigo giallo de Il segno dell'untore: qui c'è Storia, c'è vita dell'antica Roma, ci sono congiure politiche e orge sfrenate, sogni di grandezza e fiamme che divorano il mondo. E soprattutto c'è lui, Nerone, che svetta sopra ogni altra cosa come un dio sceso in terra.
Secondo classificato.

IL SEGNO DELL'UNTORE
Dall'antica Roma di Nerone ritorniamo alla Milano del XVI secolo (qualche decennio dopo I bastioni del coraggio). Qui ritroviamo alcune figure a noi note: l'inquisitore Guaraldo Giusanni ma, soprattutto, Anita Polidori, un personaggio al quale ci eravamo molto affezionati. È lei, infatti, la moglie del protagonista, Niccolò Taverna. Taverna è un notaio criminale che si aggira nei dedali di una Milano messa in ginocchio: dalla povertà, dalla peste bubbonica, dall'inquisizione, da giochi di potere che lasciano spiazzati. È quasi un clima apocalittico quello che trasuda dalle pagine: i miasmi emanati dai fopponi e l'aria pestilenziale che ammorba Milano assumono vita propria. In questa sublimazione di sconforto e caos, Niccolò Taverna dovrà risolvere due casi: l'omicidio di Bernardino da Savona, commissario della Santa Inquisizione, e il furto del candelabro del Cellini, trafugato dal Duomo di Milano. Due indagini apparentemente sconnesse, che tuttavia paleseranno un legame con il prosieguo della storia.
Il segno dell'untore è un thriller storico: la trama gialla è calata in un'ambientazione cinquecentesca, sempre accurata e studiata (ma in questo caso sembra che l'autore abbia dosato ancora meglio le nozioni storiche). Se dovessi giudicare questo romanzo in termini obiettivi, affidandomi a una sorta di tabella di valutazione, dovrei dargli la medaglia d'oro. Dipanare un plot così complesso, su uno sfondo studiato al microscopio, è una missione che solo uno scrittore navigato può compiere: non a caso, Il segno dell'untore si è aggiudicato il premio Fiuggi Storia 2012. Tuttavia, in questa classifica mi sono fatto guidare da gusti personalissimi e opinabili, che mi portano a collocare questo libro, per la qualità della scrittura e le emozioni regalatemi, sullo stesso piano di Roma in fiamme.
Secondo classificato: ex aequo.

La scrittura di Franco Forte presenta due caratteristiche: è raffinata ed è costante. Anzitutto, le scelte sintattiche e lo stile narrativo tradiscono una ponderata scelta di termini, che a tratti sfocia nella poesia. In secondo luogo, la storia non subisce mai un calo qualitativo: le parole sanno mantenersi sempre sullo stesso livello. Alla luce della mia lunga carriera da lettore, ritengo che questa caratteristica sia frutto non solo di talento, ma anche di esperienza: saper dosare la penna per dare equilibrio a centinaia di pagine è un'opera che esige, sopra ogni altra cosa, consapevolezza. Lo ammetto, all'appello manca ancora qualche libro: dal comodino mi scrutano minacciosi due romanzi pubblicati nella collana Segretissimo Mondadori (gentile omaggio dell'autore) e, soprattutto, Carthago, che secondo molti sarebbe il miglior libro di Franco Forte.
In attesa di colmare questa lacuna, mi sento in dovere di fare due cose. Primo, apprezzare lo scrittore. Secondo, stimare l'uomo. Per chi, come me, aspira a intraprendere la carriera editoriale; per chi, come me, coltiva il desiderio di vivere tra pagine, parole e manoscritti; per chi, come me, sogna di sublimarsi tra scritti propri e altrui, vivendo di storie, di avventure, di fantasia, Franco Forte rappreseta indubbiamente un esempio, un paradigma del self-made man che, in un ambiente ostico come quello editoriale, riesce a dare un afflato di speranza a noi, lettori, scrittori, sognatori.

martedì 26 febbraio 2013

GIOVANNI MASSA SU CHI HA VOTATO BERLUSCONI: "STAVOLTA NON VI SCUSO"

So che non c'entra con il tenore del mio blog, ma mi sento così vicino a chi ha scritto questo intervento, che non posso fare altro che condividerlo.

"1030,81 euro (fonte Corriere della Sera). Questo è il massimo pagato in Italia, a Portofino, per l'IMU sulla prima casa. In media si è pagato 330 euro.
 Bene, caro elettore di B. ti chiederei per favore di andare in un negozio e, se vivi a Portofino di ordinare un Iphone 5, se vivi altrove compra un paio di scarpe firmate (non sono forse l'eccellenza del Made in Italy?).
Poi torna a casa e dì a tuo figlio: "Ecco qua, grazie al mio voto ora ho un paio di scarpe nuove, sai per averle ho venduto il tuo futuro"

Già, perchè è questo che hai fatto. Hai svenduto i tuoi figli per un paio di scarpe.

Questa volta non mi trattengo, non mi venite a parlare di moralismo o di saccenza o di presunzione. Quanto è accaduto è un dato di fatto, milioni di persone hanno votato chi gli ha promesso 330 euro. Questa volta il rispetto per l'elettore che la pensa diversamente da me non riesco a metterlo in pratica. Starò forse scendendo a un livello più basso ma per una volta non me ne importa. Caro elettore di B. il solo motivo per cui tu lo hai votato è per quei 330 euro. Non te ne frega niente degli ospedali, della scuola, del ruolo dell'Italia nel mondo.

TU, te ne freghi.

Non mi venire a parlare di uomo del fare e di riforme liberali, in 20 anni hai visto nulla?

No. Ora non avevi più scuse né motivi. Eppure lo hai votato lo stesso.

Pazienza se il mondo ci ride in faccia (espressione già usata qui da due stranieri riguardo le elezioni nel mio Paese), tu hai i tuoi 330 euro e vivi felice. Per questo mese eh, perchè tra due mesi sarai lì a dire che i politici sono tutti ladri che il nostro Paese fa schifo, che tutti sono furbi, che la prossima volta... La prossima volta ti dimenticherai di tutto e voterai per i prossimi 330 euro. Perchè è questo che ti interessa, niente di più."
(Giovanni Massa)  

sabato 23 febbraio 2013

LA STORIA INFINITA


Cominciamo con il romanzo.
"La storia infinita”, di Michael Ende, viene pubblicato per la prima volta nel 1979.
È difficile recensire un libro del genere. È difficile per vari motivi. Primo, ha avuto un successo clamoroso. Secondo, ha dato origine a una trilogia cinematografica ben conosciuta (peraltro, solo parzialmente ispirata al romanzo). Terzo, dai più il libro è considerato un capolavoro.

Partiamo dalla storia, anche se grossomodo la conosciamo tutti. Bastiano Baldassarre Bucci è un ragazzo grassoccio ed emarginato. La sua vita è triste, soprattutto a causa della drammatica situazione familiare: la madre è morta, e col padre il rapporto è tutt'altro che sereno.
Un giorno Bastiano entra nella libreria dello scorbutico signor Coriandoli. Senza farsi vedere, ruba il libro “La storia infinita” e corre a scuola. Si rifugia in soffitta e comincia a leggere.
Nel libro si parla di un mondo, Fantàsia, in estremo pericolo: c’è un male oscuro (il Nulla) che lo sta divorando, male strettamente legato a un altro male, quello che sta uccidendo la reggente di Fantàsia, l’Infanta Imperatrice. 
L’unica possibilità di salvezza è riposta nel giovane Atreiu, il solo che possa sconfiggere il Nulla e quindi salvare il suo mondo. Proseguendo nella lettura, però, Bastiano si rende conto che c’è qualcosa di strano nel libro: a tratti, sembra parlare proprio di lui. Sarà lui, infatti, la vera chiave di volta della storia, l’unico in grado di strappare Fantàsia dalle propaggini di questa calamità.

Lati positivi. Alcune idee, contenute in questo libro, sono geniali. A partire dalla struttura. Anzitutto, ogni capitolo è numerato sia con cifre romane che con le lettere (26) dell’alfabeto tedesco. Poi, nella sua versione originale, il libro era stampato in due colori: uno per il mondo reale, l’altro per il mondo di Fantàsia. Ma questa caratteristica, purtroppo, è andata persa con le edizioni successive. Inoltre, questo romanzo è un meta-meta-libro. Infatti, “La storia infinita” è, rispettivamente, il titolo del libro (che noi leggiamo), il titolo del romanzo rubato (che Bastiano legge) e il titolo del libro del Vecchio della Montagna Vagante, una sorta di memoria storica di Fantàsia, che scrive un libro identico a quello di Ende.

“La storia infinita” ha, poi, un’altra caratteristica: è un romanzo di formazione. Il protagonista-lettore diventa protagonista-personaggio della storia da lui letta. Attraverso varie fasi – timidezza, coraggio, delirio di onnipotenza e infine saggezza – Bastiano cresce all’interno del libro, trovando poco alla volta il suo vero io. Ci sono, a mio avviso, alcune intuizioni dell’autore di un’originalità tale da fare accapponare la pelle. Basti pensare alle basi sulle quasi si regge l’esistenza stessa di Fantàsia: i sogni dimenticati degli uomini.

Apprezzabile è anche il concetto di desiderio: quando Bastiano entra nella storia, si tramuta in una sorta di signore onnipotente, nel senso che ogni cosa da lui desiderata si realizza. Ma non in modo così semplice:  ogni storia da lui plasmata, nel momento in cui viene desiderata, è già da sempre esistita. Poi, per ogni elemento che si aggiunge (un desiderio) ci deve essere un elemento che si toglie (un ricordo).
In sintesi, alle fondamenta del romanzo ci sono idee e intuizioni da trenta e lode.
Ma a fronte di tutto questo, almeno per me, risaltano un po’ di aspetti negativi. Primo, non ho apprezzato molto lo stile: ridondante, lento, descrittivo oltre ogni misura. Intere pagine fitte di descrizioni e orpelli inutili, monoblocchi di parole che scoraggerebbero molti lettori. Secondo: la lunghezza. Questo libro, dopo un po’, stanca. Sì, è zeppo di belle idee, ma sarebbe potuto finire duecento pagine prima. A un certo punto, il moltiplicarsi di esseri bizzarri e creature mostruose, di ambientazioni fantastiche e avventure occulte, diventa estenuante. La fantasia dell’autore corre a ruota libera, sembra un treno fuori giri che spesso perde di vista la destinazione.
Insomma, mi è piaciuto “La storia infinita”? Sì e no. Forse, se l’avessi letto da adolescente, l’avrei apprezzato di più. Tant’è che l’ho trovato, da un lato, originale e ingegnoso, dall’altro lento e pesante. Tuttavia, è una lettura che consiglio.



Passiamo al film.
Come ha giustamente detto il mio amico Andrea Franco, se cinque su dieci hanno letto il libro "La storia infinita", dieci su dieci hanno visto il film. La pellicola risale al 1984, per la regia di Wolfgang Petersen. Chi è della mia generazione, ma forse anche della precedente, serba un ricordo indelebile di questo film. Un ricordo imbevuto di mistero e poesia, che avvolge come una melassa idiliacca le immagini che sbiadiscono nel tempo. Rivedere "La storia infinita" adesso, quando l'adolescenza è solo un ricordo, non ne mette in evidenza l'ingenuità, quanto, al contrario, la bellezza.
Il guerriero Atreiu viene interpretato dal giovane Noah Hathaway, che riceve un Saturn Award come miglior attore emergente, mentre un Barret Oliver molto coinvolgente nella parte del protagonista riceve una nomination come miglior attore giovane agli Young Artist Award del 1985. Al di là delle interpretazioni personali, è il film che riceve un'ottima risposta, sia di pubblico che di critica.
Nonostante la furibonda reazione iniziale di Michael Ende, il mio parere personale è che il film sia di tutto rispetto, in molti punti addirittura superiore al libro. Sì, perché quelli che nel romanzo sono concetti dilatati e portati all'estremo, spalmati su pagine e pagine di vicende talvolta farraginose, nel film sono concentrati in modo lucido e sapiente.

Non va dimenticato un particolare.
Il film "La storia infinita" (1984) traspone sul grande schermo solo una parte del libro omonimo. Quantificando: poco meno della metà. Ma molti dei concetti espressi sono i medesimi, anche se alcune vicende hanno subito delle metamorfosi. Per esempio, il Vecchio della Montagna Vagante qui manca del tutto, e sarà presentato solo nel terzo film. Al di là di questo, non si può negare che, forse, gli occhi dell'adolescente di oggi, smaliziato dalle scenografie mirabolanti de "Il signore degli anelli" e dalle invenzioni originalissime alla "Harry Potter", possano guardare con un pizzico di sufficienza a una pellicola del genere.
La scena in cui Atreiu incontra Mork (una sorta di lupo mannaro) può far affiorare alle labbra un sorriso indulgente: che si tratti di un pupazzo, nemmeno fatto tanto bene, è palese.
Ma il sorriso scompare, non appena si presta attenzione a quello che il lupo ha da dire. Quando il giovane guerriero gli chiede dove possa trovare i confini di Fantàsia, la belva spiega che il loro mondo non può avere confini.

"Fantàsia è il mondo della fantasia umana. Ogni suo elemento, ogni sua creatura scaturisce dai sogni dell'umanità. Quindi Fantàsia non può avere confini".

Ma l'apice del concettualismo lo si raggiunge poco dopo, quando Mork (che peraltro nel film si chiama Gmork) spiega cos'è il Nulla.

Atreiu: Perché Fantàsia muore?
Gmork: Perché la gente ha rinunciato a sperare. E dimentica i propri sogni. Così il Nulla dilaga.
Atreiu: Ma che cos'è questo NULLA?
Gmork: È il vuoto che ci circonda. È la disperazione degli uomini che distrugge il mondo. E io ho fatto in modo di aiutarlo.

Atreiu: Ma perché!?
Gmork: Perché è più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.


Questo scambio di battute è di una grandezza disarmante.
Non ho trovato altro modo contemplarlo, se non quello di riportarlo per intero. Qui il film tocca l'apice, e le filosofie alla base del romanzo di Ende raggiungono il loro Gotha.
La fantasia come unica arma di lotta, la creatività e i sogni come sola linfa vitale. Il mondo muore perché la gente ha smesso di sognare. Non è una morte metaforica o pleonastica, è una morte fisica. Il Nulla è una distruzione progressiva, un buco nero che ingloba ogni cosa.
Concetti così generali da potersi applicare a qualsiasi cosa. In questo periodo (febbraio 2013) siamo, peraltro, in piena campagna elettorale. Cosa c'entra con "La storia infinita"? Forse niente, ma se penso che Gmork dice che "è più facile dominare chi non crede in niente", allora un brivido mi corre lungo la schiena.

Da molti anni voci di corridoio annunnciano un rifacimento di questo film, ma per adesso niente è sicuro. Forse perché la pellicola del 1984 piace a tutti così, con le sue imperfezioni e la sua poesia.
In verità, come accennavo all'inizio, di Storie Infinite ne sono state girate altre due: una risalente al 1990 e un'altra al 1994. Ma questa, come direbbe Michael Ende alla fine di ogni capitolo, “è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta”.




venerdì 25 gennaio 2013

NOTTE BUIA, NIENTE STELLE

Questa recensione la voglio dedicare a “Notte buia, niente stelle” (2010), una raccolta di racconti scritta dal nostro amato, blasonato, premiato, arricchito e bla bla bla… re del brivido, Stephen King. Partiamo dal fatto che questo libro, contrariamente ai precedenti, non è stato tradotto dall’ormai affezionato Tullio Dobner, ma da Wu Ming 1. Particolare, questo, da non trascurare, dato che il libro ci restituisce un King meno prolisso del solito. Più asciutto, più essenziale. Che sia merito dell’autore, del traduttore o di entrambi, non è dato sapere.
Le storie che compongono la raccolta sono quattro, ma non voglio commentarle nell’ordine in cui sono disposte, bensì secondo la mia personale classifica di gradimento.

MAXICAMIONISTA
Tess, scrittrice di gialli, al ritorno da una conferenza, ha un incidente con l’auto. La stazione di servizio più vicina è abbandonata, ma un camionista si offre di aiutarla. Il gigante, però, non è il buon Samaritano, ma uno stupratore e un assassino, che fa scempio del corpo di Tess. Lei, fingendosi morta, lascia che lui l’abbandoni in un canale di scolo, assieme ai cadaveri delle altre vittime. “Maxicamionista” è una storia di vendetta e odio covato, in cui un personaggio femminile magistralmente tratteggiato riuscirà a scoprire gli intrecci e le complicità dietro la violenza che ha subito.
VOTO: 8

LA GIUSTA ESTENSIONE
David, malato di cancro, durante una passeggiata, si imbatte in George Elvid, un venditore ambulante di “estensioni”, che non perde tempo a fargli la sua offerta: sconfiggere il tumore comprando altri quindici anni di vita. Il prezzo, a parte quello monetario, sarà l’obbligo di trasferire a qualcun altro la sua sfortuna. David accetta, designando come vittima della malasorte un suo vicino di casa, verso il quale serba rancore da anni. La storia, che mutua e rielabora l’archetipo di “vendere l’anima al diavolo” (Elvid = Devil), è in realtà una rivisitazione del mito: la contropartita, in questo caso, non è la vita del protagonista, ma quella di qualcun altro. King tratteggia bene il progressivo pentimento di David, il quale assiste impotente alle conseguenze della sua scelta: lo sgretolarsi, progressivo e ineluttabile, della vita del suo vicino di casa.
VOTO: 7,5

1922
L’agricoltore Wilfred, con la complicità del figlio Henry, porta a termine un atto tanto efferato quanto sofferto: uccidere la moglie, a causa di un forte disaccordo legato alla vendita di un terreno. Ma quello che, nelle intenzioni di padre e figlio, doveva essere un “omicidio pulito”, diventa una tragedia sanguinosa, un susseguirsi di macabri imprevisti che tormenteranno la vita di entrambi. Bella l’ambientazione rurale, ottimo lo spunto narrativo dei ratti, azzeccato anche il progressivo “lavorio” di convincimento che il padre esercita sul figlio. Racconto, tuttavia, un po’ lento, con un mordente altalenante. Tutto sommato, buono.
VOTO: 7

UN BEL MATRIMONIO
Darcy, felicemente sposata con Bob, un giorno scopre che nel garage di casa, ben nascosta dietro una parete, c’è una scatola. Questa scatola contiene le prove inconfutabili che il compagno di una vita, Bob, è in realtà il serial killer che da anni terrorizza l’America. Ispirato a un fatto di cronaca vera, il racconto tratta in modo accorto e ponderato un argomento delicato e, in verità, non facile da gestire.
VOTO: 7

Tirando le somme, “Notte buia, niente stelle” è una raccolta di livello notevole. Compararla alle alte due antologie di quattro racconti (“Stagioni diverse” e “Quattro dopo mezzanotte”) è forse errato, sia per diversità di temi sia per il modo in cui sono trattati. In ogni caso, questo libro segna un punto incontestabile a favore di King: il modo in cui sono caratterizzate le donne è sublime. Raramente, nei romanzi del Re, abbiamo assistito a figure femminili così totalizzanti. E, altrettanto di rado, abbiamo letto di personaggi maschili così biechi, subdoli, meschini e negativi. Questo libro, per qualità e impegno, è il segno definitivo della rinascita. Una risalita cominciata con “The dome”, primo tassello di una resurrezione letteraria, maturata dopo qualche anno di libri mediocri e inconsistenti.

martedì 4 dicembre 2012

INTERVISTA A BARBARA BARALDI

Oggi, per la mia rubrica Interviste Anomale, ho il piacere di fare quattro chiacchiere con la dark lady della penna, definita "la regina del thriller gotico italiano": Barbara Baraldi. Ho da poco finito di leggere il suo thriller "Lullaby - La ninna nanna della morte" (Castelvecchi) e quindi mi sembra giusto ripercorrere, assieme a lei, le fasi principali della sua carriera letteraria.

Ciao, Barbara. Benvenuta sul mio blog. Giuri di dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità?
Non giuro mai, dovrai accontentarti della mia parola.

Mi accontento. Cominciamo con qualche domanda personale. Cosa significa vivere scrivendo? A livello pratico, quali vantaggi e quali svantaggi comporta l'essere una scrittrice di professione?
Ci solo voluti anni prima di poter trasformare il mio sogno nella mia professione, sacrifici e abnegazione. Ho fatto quattro anni senza potermi permettere un giorno di ferie e non era certo facile tornare a casa da una giornata pesante di lavoro, mangiare qualcosa al volo per mettermi subito a scrivere. Dedicavo alla scrittura le notti, le domeniche, albe frenetiche e pause pranzo. Ma per portare a termine un romanzo è necessario tempo e dedizione, oltre che disciplina e passione. Ma come amo dire, per poter realizzare i propri sogni a volte bisogna sanguinare.
Vantaggi? Fare il lavoro che amo. Scrivere fa parte della mia essenza. Svantaggi? Tanti sacrifici, e nessuna certezza.

Ti senti di dover ringraziare qualcuno per il successo che stai avendo? A parte il tuo talento e un pizzico di fortuna (che non deve mancare mai), c'è stato qualcuno in particolare che ti ha aiutata o incoraggiata in questo percorso?
Sicuramente la mia famiglia mi ha sempre incoraggiata, ma la forza di volontà è l'arma più preziosa che mi ha spronato in questo cammino.

Va bene, ora passiamo alle tue opere. Qualche mese fa ho finito di leggere il tuo secondo romanzo, "La collezionista di sogni infranti". Mi è piaciuto molto, perché è una sorta di noir psicologico che ruota intorno al rapporto tra due ragazze. Ci vuoi parlare di questo libro e del tuo rapporto con Perdisa Pop, il tuo editore di allora?


È un romanzo a cui sono molto legata e che contiene una riflessione sulla rete e su come sia facile perdere l'identità quando la vita virtuale diventa più appagante di quella reale. Mi sono trovata molto bene con Perdisa, al punto che l'anno seguente è uscito il seguito della Collezionista: "La casa di Amelia".

Bene. Procediamo secondo l'ordine delle mie letture, anche se sono un po' a casaccio. Posso dire che, forse, il tuo libro che ho apprezzato di più è "Bambole pericolose", pubblicato dal Giallo Mondadori nel 2010. Un romanzo complesso, forse una delle tue opere più lunghe, un thriller che si dipana in una Bologna gotica, segreta, fatta di combattimenti e riti sessuali. Ho apprezzato sia la protagonista femminile, Eva, che Franco, il suo allenatore. Vuoi dirci qualcosa sulla nascita di questo romanzo e sul tuo approdo al Giallo Mondadori?
Nel 2007 ho vinto il Gran Giallo città di Cattolica, e l'ambito premio era la pubblicazione del racconto vincitore nel Giallo Mondadori. L'editor di allora rimase molto colpito dal mio racconto e mi chiese se avevo un romanzo pronto da fargli leggere. E io, che continuavo a credere nel mio sogno, un romanzo nel cassetto ce l'avevo eccome, già revisionato. All'editor il romanzo piacque e nel 2008 "La bambola dagli occhi di cristallo" uscì nel Giallo Mondadori. "Bambole pericolose" è il suo seguito. La Bambola è nata in un periodo in cui Bologna era balzata alla cronaca per continui casi di violenza nei confronti delle donne, così ho inventato il personaggio della killer fatale, una sorta di giustiziere della notte in gonnella che pulisce le strade dalla criminalità.

Complimenti! Sviscerare i momenti salienti della tua carriera è molto interessante, come credo sia per ogni personaggio noto che fa dell'arte il suo pane quotidiano. Bene, abbiamo passato al setaccio alcuni aspetti della Barbara Baraldi gotica. Ora passiamo all'altro versante, quello urban fantasy. Sta spopolando, in libreria, la tua saga di Scarlett (Mondadori), di cui sono usciti i primi due capitoli. Vuoi dirci qualcosa in merito a questo personaggio e a questa trilogia, a metà strada tra una storia di formazione e un fantasy? Romanzi, questi, apparentemente molto lontani dai tuoi risvolti gotici e thriller...
In realtà la serie Scarlett raccoglie le atmosfere gotiche e thriller dei miei romanzi precedenti, al punto che nel primo volume c'è un omicidio e la relativa indagine della protagonista. Scarlett è una ragazza di oggi, con problematiche legate all'età e alla crescita. Alla trama classica da romanzo di formazione si unisce quella dark fantasy con l'incursione del soprannaturale a sconvolgere la sua vita e gli equilibri. E naturalmente l'amore. Un amore impossibile, un sentimento assoluto e devastante, quanto pericoloso.

Romanzi e racconti a parte, di recente ti sei anche affacciata al mondo del fumetto. Prima con la graphic novel "Bloodymilla" (Delos Books) e poi, addirittura, con un episodio per Dylan Dog, il fumetto italiano più famoso nel mondo. La tua storia, "Il bottone di madreperla", inserita nel Dylan Dog Color Fest di agosto 2012, ha riscosso un notevole apprezzamento, sia presso i tuoi fan che presso i fedelissimi dell'indagatore dell'incubo. Ci spieghi come e quando è nato il tuo amore per il fumetto? E com'è nata l'idea de "Il bottone di madreperla"?
Il mio amore per i fumetti viene da lontano, da quando ero soltanto una bambina e in soffitta a casa dei miei, ho trovato la collezione di Alan Ford di mio padre. Con le nuvole parlanti, è stato amore a prima vista. Ho cominciato a raccontare storie molto prima di decidermi a scriverle. E spesso scaturivano da sogni, o visioni, che immaginavo… a fumetti. Non l’ho mai confessato a nessuno, ma mi è capitato di sognare di essere la protagonista di un manga, in cui tutto era disegnato proprio come un manga! Insomma, ero ossessionata dalla fusione tra parole e disegni. E così, da lettrice, sono diventata sceneggiatrice. Sono fan dell'Indagatore dell'Incubo e avrei sempre sognato di scrivere una storia per lui. "Il bottone di madreperla" riprende tutte le tematiche che mi sono care come la memoria e l'amore vero che sopravvive alla morte. È una storia intrisa di romanticismo profondo, proprio come romantico è il personaggio creato da Sclavi.

Bene, Barbara. Siamo giunti alla fine dell'intervista. L'ultima domanda che voglio porti riguarda non tanto il tuo profilo da autrice, quanto quello da lettrice. Fammi i nomi dei tuoi autori di riferimento, che ami di più o che abbiano, in qualche modo, influenzato il tuo modo di affrontare l'arte dello scrivere.


Ci sono vari scrittori che amo e hanno influenzato il mio immaginario. Da Marguerite Duras, a Hermann Hesse. Adoro Palahniuk, Fante, Bunker e King. Poe e Lovecraft hanno affollato la mia mente con i loro mondi immaginari e onirici.
Dalla fantascienza cito con piacere Hinz e Herbert. Non dimentico Eugenides, Pennac e Izzo. Ops, potrei andare avanti all'infinito.



Grazie mille, dark lady (inchino). Sei stata gentilissima. In bocca al lupo per tutti i tuoi progetti. Ciao!
Figurati, è stato un piacere.






sabato 17 novembre 2012

"Cose liquide" su Skan Magazine n.3



SCARICA SKAN MAGAZINE N.3
È uscito il numero 3 della rivista Skan Magazine. Tante cose interessanti su questo numero: i racconti dello “Skannatoio 5 e mezzo”. I concorrenti di questo concorso dovevano cimentarsi con un tema tanto interessante quanto difficile: racconti ispirati agli eroi e alle eroine della tradizione omerica. Poi c’è lo speciale di Giorgio Sangiorgi sul fantastico mondo di “Mahayavan”, gioco di ruolo per scrittori, indetto da Edizioni Scudo. La rubrica “Oltre lo Skannatoio” è dedicata ai concorsi “Minuti Contati” (per le penne più veloci del web) e USAM (Una Storia al Mese). Ci sono tante altre belle cose e, ultimo ma non ultimo, ci sono io. 
A pagina 53 della rivista potete trovare la notizia relativa all’apertura del mio blog e, a pagina 54, il mio racconto “Cose liquide”. Un brevissimo noir, di cui vi anticipo l’incipit…


 COSE LIQUIDE

Io a mia mamma ci volevo tanto bene.
Lei era sempre tanto buonissima con me.Un sacco di volte veniva pure a scuola per fare le cazziate ai genitori di quegli scemi che mi chiamavano di tutte le maniere: scimunito, andicappato, povero dio, mento di vecchio.

Una volta, sapete, la sentii che piangeva, perché aveva saputo che quel chiattone del bidello aveva detto che puzzavo come un cesso.
Ma io glielo ripetevo sempre: mamma, non piangere. Tanto sono abituato a essere trattato a pesci in faccia. E poi chi li pensa a quelli là!
Però lei ci stava molto male, perché mi voleva bene e ci teneva a me. E poi, povera mamma, teneva sempre il mal di testa. Si toccava le tempie con la mano e diceva un sacco di cose arrabbiate.
Quando se la prendeva con chi mi sfotteva, sembrava una di quelle tigri che ho sempre visto a quarch, in televisione, che ruggivano e graffiavano per difendere i tigrotti belli.
Da quando papà se ne andò in paradiso, mamma diventò una tigre, e forse pensava pure che io ero il suo tigrotto.






mercoledì 14 novembre 2012

INTERVISTA A CARLO PARRI



Oggi, per la mia rubrica Interviste Anomale, ho il piacere di fare quattro chiacchiere con Carlo Parri, vincitore del premio Alberto Tedeschi 2012 con il romanzo "Il metodo Cardosa" (Giallo Mondadori). Si tratta di un romanzo avvincente, anomalo, provocatorio, nel quale l'indagine poliziesca e la trama gialla quasi scompaiono di fronte al protagonista, Cardosa: vicequestore aggiunto, lettore compulsivo-ossessivo e sciupafemmine, mente brillante ma anche incomprensibile, citazionista delirante e amante inguaribile della spesa al mercato.



Ciao Carlo, benvenuto tra le pagine della mia rubrica. Giuri di dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità?
Conosco solo false verità e menzogne reali. Posso offrirti solo il gioco delle tre carte. Ti va bene?


Mi va benissimo. L'importante è che io non vinca mai, altrimenti non ci sarebbe sfizio. Io scelgo la carta dell'emotività: cosa si prova a vincere il concorso Alberto Tedeschi, il più importante riconoscimento italiano per romanzi gialli inediti?
Più che altro mi sono chiesto cosa avrei provato se non avessi vinto. In ogni caso non è successo. Meglio così. Parlare di vittoria mi imbarazza. Cardosa a questo punto citerebbe Sartre. “Una vittoria descritta nei particolari, non si sa più cosa la distingue da una sconfitta.” Io, nel mio piccolo, sposo il pensiero di Winston Churchill. “I problemi della vittoria sono più gradevoli di quelli della sconfitta, ma non meno difficili da risolvere.”
C’è stato un momento, in questa storia, che mi ha lasciato dentro un’emozione indelebile. La mattina che ha squillato il telefono e la voce di Franco Forte mi ha detto semplicemente “Lei è il vincitore del premio Tedeschi”. Ero da solo e quando ho riattaccato, non nego di aver fatto un po’ la marionetta in giro per casa. Da lì in poi è cominciato un percorso obbligato. Revisione, editing, promozione, interviste, inviti, progetti. Soprattutto mi sono sentito quasi in dovere di chiudere il secondo Cardosa e iniziare il terzo. Vincere il Tedeschi è anche questo.


Attenzione. Ci hai detto una cosa che, forse mi sbaglio, ma credo di non aver letto altrove. "Chiudere il secondo Cardosa e iniziare il terzo". Facciamo finta di non aver sentito o vuoi spiegarci per bene?
Desolato, ma non è uno scoop. L'ho dichiarato in un'intervista televisiva già a fine agosto. Il secondo libro è già pronto da qualche tempo e il terzo è in lavorazione. Anzi i terzi, perché ne sto scrivendo tre contemporaneamente e non ho ancora deciso a quale dare il numero tre.

Bene, stai dando una gioia ai fan di Cardosa. E ora passiamo a lui, vicequestore aggiunto Leonardo Cardosa, il personaggio attorno al quale ruota buona parte del romanzo. Lui è: dotato di due cervelli, forte di una cultura letteraria sovrumana e infine sciupafemmine. Quali di queste caratteristiche sono autobiografiche e quali inventate? In altri termini: anche tu hai due cervelli? Anche tu parli per citazioni? Anche tu ti destreggi tra più donne?
Più che altro il mio doppio si sviluppa con un eteronimo. Si chiama Fernando Pellizzo. Lui è uno sciupafemmine io, al massimo, potrei esserlo stato, tanti anni fa, ormai... Le citazioni, soprattutto quelle cinematografiche, le uso spesso. Naturalmente decontestualizzate, di valore semantico soggettivo e unicamente emotivo. Caratteristiche autobiografiche o inventate dici. Ma io fin da bambino ho inventato la mia biografia. Ho persino già descritto il mio funerale. Non c'è assolutamente niente di vero in me. Io stesso sono un'invenzione.

Eteronimi... vite inventate... Sei un lettore di Pessoa? Qual è il tuo Libro dell'Inquietudine?
Sono un ri-lettore di Pessoa e dei suoi eteronimi, ma anche un appassionato ri-lettore di Tabucchi. I libri dell'inquietudine sono infiniti, perché infiniti sono i libri che non potrò leggere. Ogni libro che non riuscirò a leggere sarà uno di questi.

Mi piace questa risposta. Diciamo che la condivido appieno. Ultima domanda, ovviamente anomala. Solitamente si chiede a uno scrittore quali consigli dare un esordiente per farsi notare nel mondo editoriale. Bene, io ti chiedo:cosa suggerisci a un esordiente per non farsi notare nell'editoria che conta? Particolari mosse per perdere il Tedeschi?
Ti dirò, quando mi fanno la domanda canonica, quale consiglio dare a chi vuol tentare la scrittura, offro sempre la risposta alla tua domanda. Consiglio di non farlo, che è anche il sistema migliore per non farsi notare. Perdere il Tedeschi è facilissimo, credo che non serva un grande impegno. Arrivano mille romanzi, ne vince solo uno, più facile di così. Battute a parte, per non farsi notare, per essere inesorabilmente cestinati a ogni tentativo, c'è un sistema sicuro. Leggere poco e quel poco sbagliato. Io una mano sto cercando (nel mio piccolo) di offrirla. Ogni giorno tento di promuovere un libro della serie "Se leggi questo di sicuro qualche cosa impari." Ma lo leggeranno?


Ne dubito, Carlo. Sappi che solo il 15% di italiani dichiara di aver letto fino a 12 libri in 12 mesi (i cosiddetti lettori forti), mentre oltre il 50% di aspiranti scrittori legge meno di un libro all'anno. Ma lasciamo stare, questo è un altro discorso. L'intervista è finita. Chiama Cardosa (a proposito, dove sta?) e digli di mandare un saluto ai nostri lettori.
 Sì, purtroppo le conosco le statistiche... e io, tra l'altro, partecipo a falsificare la media con una media di centoventi libri per anno solare. Vediamo un po' se riesco a connettermi con Leonardo...
Leo, ci sei? Eccolo qua.
"Scusate amici, ma oggi piove e Roma è un caos più caos di sempre. Sono al mercato e ho poco tempo per voi, ma so che Parri ha finito una storia che mi riguarda, roba successa l'anno scorso, e penso che presto ci ritroveremo. Buona spesa a tutti."

Mitico. Ciao Carlo, e grazie mille per questa bella intervista.



martedì 6 novembre 2012

IL CONFINE DELLA PERFEZIONE

Oggi voglio segnalare il primo fumetto di un mio amico, Carlo Vicenzi. Si tratta di un esperimento interessante sotto vari profili. Anzitutto, è gratis, il che non guasta mai. In secondo luogo, la storia è ambientata in un futuro distopico oscillante tra impero delle macchine e fanatismo religioso. In terzo luogo, i disegni sono spettacolari.
Il progetto alla base di questo fumetto, e di altri simili, è molto ammirevole, in quanto il sito MANICOMIX, nuova piattaforma digitale dedicata al fumetto, offre a tutti i lettori la possibilità di leggere albi e graphic novel in maniera gratuita e veloce. Non solo.

Il sito è anche dedicato al talent scout, ossia alla ricerca continua di collaboratori validi: disegnatori, sceneggiatori e soggettisti. E' sufficiente proporre la propria candidatura con un progetto e sperare che il sito lo ritenga valido, così come ha fatto per il nostro Carlo Vicenzi con il suo "Il confine della perfezione".



Non mi resta, quindi, che rimandarvi alla lettura di questo bel fumetto, un albo di appena 14 tavole che, nonostante sia stato scritto da un esordiente del campo, rappresenta un esperimento di tutto rispetto nel mondo dei comics sci-fi. Un'ambientazione cupa, dai colori forti e penetranti (merito del bravissimo disegnatore Massimiliano Veltri), che ci catapulta in un mondo dove impera la volontà del dio macchina. In un mondo, in cui viene imposta una perfezione artefatta, eppure lucida: sostituire gli organi interni del corpo umano, imperfetti e caduchi, con metallo freddo, indistruttibile, efficiente. Chi non obbedisce, è un eretico.

Su questo sfondo fantascientifico, che mi ha ricordato suggestioni derivanti da film come "Matrix", "Johnny Mnemonic", "Terminator" e "Io, robot", si consuma un inseguimento che conduce il lettore verso l'unica possibile conclusione ragionevole.

Agli amanti dei fumetti, consiglio di leggere questo albo e tutti quelli che il sito mette a disposizione gratuitamente: non è cosa da tutti offrire fumetti di qualità senza pretendere un soldo.
Agli aspiranti soggettisti, sceneggiatori e disegnatori, suggerisco di rimboccarsi le maniche per proporre qualcosa di valido.


giovedì 1 novembre 2012

INTERVISTA A SILVIA ROBUTTI

Quest’oggi apro la rubrica Interviste Anomale, e ho il piacere di fare quattro chiacchiere con Silvia Robutti. Ventisette anni, medico veterinario, Silvia vive a Torino col suo gatto (naturalmente nero) e ama, in rigoroso ordine alfabetico: gli animali, la scrittura e i viaggi. "La maledizione della fiamma" è il suo primo romanzo pubblicato, e ha vinto il prestigioso Premio Odissea.


D. Ciao Silvia, benvenuta sul mio blog. Ho appena finito di leggere il tuo romanzo, "La maledizione della fiamma", quindi mi sembra giusto ospitarti come prima autrice per la mia rubrica "Interviste Anomale". Giuri di dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità?
S. Sul signore degli anelli, io lo giuro (ah, ah, ah!)

D. Okay, cominciamo con una domanda inutile. Cosa stavi facendo prima che ti intervistassi?
S. La detartrati a un cane!

D. Mmm... è un esperimento di magia nera o fai la veterinaria?
S. La seconda... La magia nera solo nel tempo libero!

D. E allora parliamo del tempo libero. Il mio, ultimamente, l'ho impiegato leggendo il tuo libro, "La maledizione della fiamma". Mi ha emozionato e mi ha avvinto, quindi direi che è stato tempo ben speso. Tu quanto "tempo libero" hai impiegato a scriverlo?
S. Parecchio... ci ho messo circa un anno a scriverlo e dieci lunghi secoli (o almeno così mi sembra di ricordare) a ricorreggerlo!

D. Caspita, quindi hai iniziato intorno all'anno Mille a scriverlo? Però! E per le correzioni e le revisioni: ti ha aiutato qualcuno (un amico, un editor) oppure hai fatto tutto da sola?
S.Di solito stampo una prima versione, la leggo su carta e mi appunto le modifiche che ritengo necessarie. Stampo poi tre copie della versione ricorretta e le faccio girare tra gli amici. Inoltre mando il file alla lettura incrociata del rifugio degli esordienti. Ammetto però che la seconda versione rimane poi pressoché immutabile (salvo per i centigliardi di errori di battitura, gli strafalcioni dall'inglese, e altri disguidi tecnici).

D. Vedo che sei abbastanza puntigliosa e, immagino, severa con te stessa. D'altronde non si vince un premio di questa portata senza rigore e disciplina nella scrittura. Veniamo al romanzo. La protagonista, Azoleen, è una sfigata colossale, ma ha una tale forza dentro, che provare empatia è quasi automatico. Parlaci di lei.
 S. Bhe... lei è la protagonista di un libro fantasy, per tanto è una chiavica iellata ed egocentrica come tutti loro sono sempre (o quasi). All'inizio non mi stava molto simpatica, soprattutto per la carenza di senso dell'umorismo che la contraddistingue, ma effettivamente alla lunga stimola empatia, mi ci sono affezionata parecchio e non scriverle un seguito è stata dura.

D. Perché non scrivere un seguito? Hai già escluso la possibilità di una "Maledizione della fiamma 2"?
S. Beh, non vorrei rovinare tutto! E poi ora credo che sia passato troppo tempo per riprendere in mano la storia.

D. Va bene, allora torniamo al premio. Dicci come e quando hai saputo di ver vinto. E cosa hai provato in quel momento.
S. Ho aperto la mail il primo giorno di rientro sul lavoro da un viaggio in Australia, ho dovuto rileggerla tre volte per accertarmi che non si trattasse di un'allucinazione da jet lag, dopo di che ho cacciato un urlo istrerico e ho cominciato a saltellare qua e la terrorizzando la collega che continuava a chiedermi cosa fosse successo. Ero soprattutto stupefatta, perché mi ero convinta di aver perso.

D. Perché ti eri convinta di aver perso (recte: non aver vinto)?
S. Beh... al Salone del libro di Torino avevo incontrato Silvio Sosio, della Delos e, senza per altro presentarmi, gli avevo fatto un paio di domande sul concorso. Silvio aveva giustamente risposto in maniera evasiva, ma io ne avevo comunque dedotto di non aver vinto... Probabilmente per non dover guastare con un a bella speranza un periodo altrimenti perfettamente orribile.

D. Be, diciamo che hai avuto una piacevole sorpresa. Meritata, confermo. Il tuo libro è avvincente e appassionante, e non si rifà a molti cliché in voga in questo momento. Anzi, direi che ha un'impostazione originale pur innestandosi su uno sfondo classico, quasi epico. Come ti sono sembrate, fino a ora, le risposte dei lettori?
S. Beh, sembra che piaccia... anche se, a parte quelli dei conoscenti, ho poco modo di raccogliere commenti.

D. A un certo puntp del tuo libro c'è una frase che mi ha fatto sbellicare. Azoleen, rivolgendosi alla caceriera della prigione, dice: "E lei se la sente di infilarsi in quel posto la doppia razione insieme a tutta la dannata redenzione?" Ecco. Questo è il più bel vaffanculo che io abbia mai letto in un fantasy. Se dovessi dedicare questa frase a qualcuno, a chi la dedicheresti? Mi devi fare almeno tre nome, di persone esistenti o personaggi inventati, che manderesti a quel paese...
S. Beh, certamente una prof del liceo e un'ex capa cui la signora Knet è deliberatamente ispirata sono le candidate migliori. Riguardo a personaggi inventati credo che Dolores Umbridge (quella di Harry Potter) sia perfetta.

D. Nel romanzo trova spazio anche una storia d'amore. Quella tra lei, protagonista, e Ehyl, un ragazzo irriverente, simpatico e giocherellone. Ti sei ispirata a qualcuno? Magari una tua vecchia storia, il tuo ragazzo (attuale o passato) o niente di così romantico?
S. Ehyl è un misto di ricordi, desideri, premonizioni e necessità di controbilanciare una protagonista parecchio pesantella! Gli sono molto affezionata!

D. Bene, grazie infinite. L'intervista anomala è finita. Ti è piaciuta? Se rispondi di sì, non la pubblico...
S. Ma come? certo che mi è piaciuta... la più divertente mai fatta (con questa ne ho fatte tre )!

D. Ma scusa, dovevi dire di no! Vabbè, pazienza, sono costretto a pubblicarla lo stesso. Grazie, Silvia. Complimenti per il tuo romanzo e in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.
S. Grazie mille, mi sono davvero divertita!